La cultura è un bene inesauribile, lo sapevano i nostri avi che disseminarono il Paese di opere d’ingegno e d’arte tanto da farne il contenitore più apprezzato ed invidiato del pianeta ma è anche uno strumento formidabile di conoscenza, frutto del sapere, combustibile di rara potenza, capace di innescare il confronto e la sapienza, le uniche armi da utilizzare per contrastare la decadenza dei tempi moderni.
Alcuni, proprio per questi motivi, la temono. Ritengono che sia un mezzo di diffusione molto (anzi troppo) efficace della consapevolezza e della comprensione dei fenomeni che ci circondano e che difficilmente, una volta preso il via, è possibile arrestare. Tuttavia si può arginare. Per fare ciò vi sono molte strade attraverso cui anche la politica tenta di strumentalizzarne gli oggettivi benefici collettivi; rispetto ad una società culturalmente aperta ed in grado di discernere e criticare si preferisce una culturalmente sterile e richiusa su se stessa e per questo più facilmente orientabile. Basta seguire la cronaca quotidiana per trovarne riscontro.
In Italia gli effetti di questa sindrome da anaffettività culturale si riscontrano in maniera molto lampante. Ad oggi abbiamo in carica un Governo che si è autodefinito “del cambiamento” perché, a detta sua, avrebbe dovuto portare quella ventata fresca e piena di stimoli tale da risollevare le sorti del Paese, lontano dai sistemi e dai format stantii del passato.
Un Governo basato sul famoso contratto che di fatto pone una serie di obiettivi a breve e medio termine elencati e numerati come nelle migliori aziende di mercato. Già agli inizi di questa Legislatura ponemmo dubbi sui risicati interventi in campo culturale ma, col beneficio del dubbio, augurammo che in un futuro non troppo lontano le menti designate a confutare questo nostro pensiero avrebbero attuato azioni contrarie e dirette ad incentivarne lo sviluppo.
Pensavamo male. Infatti se dal contratto di Governo sembravano fin troppo pochi gli acuti dell’esecutivo sulla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, sull’indotto lirico-sinfonico, teatrale e musicale, sulle imprese e industrie culturali e creative e sulle professioni legate al mondo della cultura oggi possiamo dire che i dubbi del passato, purtroppo, erano sin troppo pacati e fiduciosi.
Ad oggi il panorama che ci consegna la manovra finanziaria del Governo del cambiamento è a dir poco desolante sia per quanto riguarda la cultura che l’istruzione, due temi fondamentali per lo sviluppo di un Paese e che viaggiano a braccetto. A fronte di proclami propagandistici che preannunciavano 6000 assunzioni al Mibac (orfano della T di turismo prestata nel frattempo all’agricoltura, guarda caso) riscontriamo nel prospetto finanziario varato dal Governo una forte riduzione di questi numeri nell’ordine di sole 1000 nuove assunzioni che verranno attivate a partire dal 2020 e fino al 2021 mentre nel 2019 saranno compensate dagli scorrimenti di graduatoria del concorso bandito dal precedente esecutivo per soli 100 nuovi assunti. Tagli anche alla misura del tax credit – che permette di mutuare oneri fiscali con investimenti mirati in ambiti culturali – che vedrà ridotto il proprio portafoglio di oltre 5 milioni di euro. Ridotta anche la dotazione finanziaria del Bonus Cultura per i neo diciottenni, sul quale il Ministro Bonisoli aveva espresso già in passato forti dubbi che ora diventano drammaticamente reali, che ridurrà la propria capacità di spesa di 20 milioni di euro; sforbiciata anche per i nuovi Musei autonomi voluti dall’ex Ministro Franceschini che si vedranno privati di risorse per oltre 2 milioni di euro e stop dal prossimo anno alle prime domeniche del mese gratis nei musei e luoghi della cultura.
Non è finita qui. Per arrestare la fame di cultura bisogna tagliare anche sulle istituzioni che più di ogni altra diffondono il sapere ossia la scuola e l’università ed anche su questo settore il Governo si è dato da fare e non poco. Infatti sono oltre 30 i milioni di euro decurtati al MIUR (il taglio più alto tra tutti i ministeri dopo quello dell’Economia) che si sommano agli oltre 56 decurtati per l’alternanza scuola-lavoro ed alle dichiarazioni del Ministro Bussetti che ha annunciato uno stop degli investimenti almeno per il 2019 proprio quando Matera (che si trova in Basilicata n.d.r. per il vicepremier Di Maio) sarà Capitale Europea della Cultura.
Non c’è che dire, il cambiamento c’è e si sta mostrando agli occhi di tutti. Certo i ciechi acquisiti sono molti ma ci auguriamo che la deriva propagandistica che questo Governo ha assunto come regola del suo operato risvegli in molti il senso di responsabilità nei confronti di un Paese che dovrebbe raddoppiare i propri investimenti nel ramo culturale e dell’istruzione non su quello dei sussidi e dei condoni. Ma si sa, “quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. (Karl Kraus)
(Fonte: Luigi Zotta – Il blog delle idee)