A distanza di due millenni, rimangono vivi nella memoria i consoli e gli imperatori che sovrascrissero il loro nome alle grandi strade dell’antichità: Appio Claudio per l’Appia, Traiano per la via Traiana, Marco Emilio Lepido per la via Emilia, e così via, fino a costruire la più potente nervatura infrastrutturale della penisola.
Un’opera immensa per garantire un’accessibilità capace di trasformare lande inospitali in territori antropizzati e per consentire l’inclusione di interi popoli in un sistema di civilizzazione multiculturale.
Per certi versi, l’evoluzione a gran velocità delle tecnologie ci mette oggi, almeno metaforicamente, di fronte alla possibilità di realizzare nuove vie consolari per l’accessibilità e l’inclusione, fornendoci gli strumenti per il tracciamento (dalle realtà aumentate e virtuali, all’AI al posto delle antiche grome) e i materiali per lastricarle (l’interazione tra mondo digitale e percezione fisica) al posto della pietra lavica per il basolato.
Le ondate pandemiche e i lockdown, d’altro canto, hanno offerto motivi soverchianti per una accelerazione improvvisa a sperimentare un ventaglio amplissimo di vie digitali per recuperare le connessioni, per arrivare comunque agli spettatori e ai visitatori, per riversare la vitalità della produzione culturale nel mondo digitale. A distanza di tre anni da quella fase, il ri-orientamento dell’attività verso modalità consuete di rapporto con i pubblici ha messo da parte, spesse volte, la nuova via, come se un subitaneo medioevo ne avesse ricoperto il tracciato di vegetazione.
Proprio per questi motivi, è importante oggi, riflettere sulle innovazioni che, iniziate anche prima della pandemia, sono in grado di superare questa fase di riflusso, grazie ad alcune acquisizioni che forniscono altrettante pietre miliari, come ad esempio la crescente attenzione verso tutti i problemi di accessibilità e la saldatura in progressivi gradienti, ma senza soluzione di continuità, con il tema dell’inclusività fisica, economica, sociale, percettiva, culturale. L’accessibilità è il primo passo, spesso la condizione necessaria, per dispiegare processi di inclusività che traggono, oggi, nuova linfa e nuove opportunità dalla ricerca tecnologica e dalle sue sperimentazioni.
Vale la pena di seguire alcuni di questi tracciati, ben più che esperienze promettenti, quanto piuttosto direzioni di ricerca e di sperimentazione capaci di farci entrare pienamente in quella dimensione di ibridità phygital, nella quale già ci muoviamo, a volte inconsapevolmente.
In ambito museale il CMHR – Canadian Museum for Human Rights (Winnipeg) si è avvalso della cooperazione di PAC – Prime Access Consulting un’azienda nordamericana di inclusive design. Fin dal primo giorno, infatti, il museo ha adottato una policy che avesse al centro l’inclusive design non solo per consentire a chiunque, a qualunque età e in qualunque situazione di abilità, di godere dei contenuti del museo, ma per arricchire e aumentare qualitativamente l’esperienza di ogni pubblico. La collezione del CHMR è composta principalmente da contenuti digitali, da centinaia di ore di storytelling, da ambienti immersivi e da un limitato numero di oggetti fisici. I contenuti sono resi disponibili attraverso una tastiera universale interattiva (Universal KeyPad) con un set limitato di pulsanti e corredata da icone tattili e da istruzioni vocali connesse all’interfaccia touch screen collegato, scegliendo tra assistenza audio e audio aumentato per persone con difficoltà auditive. Esiste la possibilità di collegarsi attraverso cuffie, ma anche con il proprio smartphone, e di utilizzare una screen reader per usufruire dei contenuti multimediali. L’intero processo è stato costruito con una ripetuta interazione con persone in diverse condizioni di abilità, raccogliendone le critiche e i suggerimenti e riconfigurandoli progettualmente per una resa ottimale. Il binomio innovazione tecnologica e inclusive design permette di raggiungere l’obiettivo principale, ovvero la costruzione di contenuti fin dall’inizio utilizzabili da chiunque nel modo più soddisfacente, contro una logica riduttiva di dotazione di strumenti ad hoc per mitigare singole problematiche percettive.
Il Van Abbe Museum di Eindhoven (Paesi Bassi), dedicato all’arte contemporanea, mette al centro della sua policy l’accessibilità in una ricerca radicale mirata ad aumentare la possibilità di esperienza da parte di ogni visitatore. Oltre alle indicazioni presenti nel loro sito web su ogni tipo di servizio e di offerta per orientare la visita (parcheggi riservati, scooter, carrozzine, visite guidate, possibilità di ingresso per cani guida), attraverso un robot guidabile con il proprio computer, consente visite online nel museo affiancando il visitatore, collegato da remoto, da un operatore in carne ed ossa, che interagisce e commenta dalla sala museale. La visita avviene in orari di apertura e comprende la possibilità di interagire anche con il pubblico presente. Inoltre, grazie alle esperienze con pubblici speciali e affetti da sindromi da Alzheimer il Van Abbe Museum ha prodotto, con l’Università di Amsterdam, l’Unforgettable Musem Table attualmente in uso in più di 5.000 case di riposo in Olanda e in Belgio. Attraverso il tavolo digitale si possono selezionare opere del Van Abbe o dello Stedelijk Museum di Amsterdam e attivare interazioni e giochi che portano a chiarire struttura e significato dell’opera, stimolando contemporaneamente il dialogo tra i partecipanti al tavolo. Un modo concreto per i musei di uscire dalle loro mura e incontrare l’universo dei pubblici, speciali e non, nel mondo esterno, nella città.
Attraverso il programma Werksalon, il Museo Van Abbe, infine, ha inteso estendere l’inclusività nei confronti dei pubblici che non appartengono al gruppo dei frequentatori abituali, ovvero bianchi, con un alto livello di istruzione, appartenenti alla classe media e oltre i quarant’anni di età. L’iniziativa prevede una molteplicità di attività laboratoriali per raccogliere punti di vista, interazioni, interpretazioni da parte dei differenti gruppi sociali della città, per integrare nelle proprie narrazioni le prospettive alternative dei gruppi altrimenti non rappresentati, ivi compresi gli immigrati non regolari, con tecnologie sia tradizionali che digitali. Il programma prevede che le storie raccolte siano rese fruibili ai visitatori e che, contemporaneamente, il lavoro svolto trovi posto come opera aggiunta alle esposizioni, ad esempio attraverso l’allestimento di specifici oggetti d’arte o banner realizzati nel laboratorio. Per il Van Abbe Museum rappresentare la città di Eindhoven significa aprire il museo alla multiculturalità che è la cifra stessa della città, non tanto e non solo badando a una politica di alta accessibilità, ma dando voce alle diverse culture nel cuore delle esposizioni, fianco a fianco alle collezioni permanenti ed alle esposizioni temporanee.
A proposito di inclusione, quest’anno il Network of European Museum Organization (NEMO), ha scelto come priorità strategica questo tema, insieme a quello dell’equità e della diversità nei musei, che si traduce in una molteplicità di eventi e occasioni di formazione dedicati ai temi di genere, alla lotta alle disuguaglianze, alla cura dei gruppi sociali più fragili. In particolare è in corso nel 2024 una specifica ricerca che ha l’obiettivo di contribuire a promuovere le pratiche inclusive dei musei europei nei confronti delle comunità LGBTQIA+ per arrivare a connotare i musei come spazi sicuri e accoglienti nei confronti di ogni diversità. La ricerca si propone di offrire una guida pratica per rappresentare e dar voce alle persone queer e per garantirne una accoglienza adeguata. Ciò avverrà attraverso l’inventario e l’analisi di strumenti e risorse esistenti e già in atto, siano esse digitali o meno e, allo stesso tempo, evidenziando le modalità attraverso le quali sostenere le sfide e le problematiche che si incontrano nel promuovere l’inclusione delle diversità, anche in declinazioni di tale sensitività e delicatezza.
Il National Museum di Liverpool (Gran Bretagna), attraverso il programma House of memories on the road, utilizza un approccio simile al Van Abbe nel portare il museo fuori dalle sue mura supportato da nuovi strumenti high-tech. Un veicolo appositamente progettato ospita una ambiente interattivo di 30 mq, entrando nel quale ci si ritrova in una strada urbana degli anni ’50 o in una vecchia drogheria e via dicendo, grazie a suoni, odori percezioni del passato, unitamente a proiezioni e ambienti immersivi in 3D. L’idea consiste nel coinvolgere le comunità di quartiere e riattivare ricordi, con una specifica attenzione agli utenti più deboli e agli affetti di sindrome di Alzheimer, ma con un’apertura all’intera popolazione, nel trasformare i ricordi in una stimolante esperienza attuale.
Nel mondo letterario l’app Betwyll, sviluppata dalla torinese Betwyll attiva in ambito di education technology, nasce da un primo esperimento di lettura condivisa (che aveva coinvolto centinaia di lettori di Cesare Pavese), per creare uno spazio d’incontro e di commento letterario, capace di avvicinare le nuove generazioni al piacere della lettura mettendo insieme tecnologie social e la letteratura di ogni tempo. Betwyll si rivolge prevalentemente a studenti e insegnanti che, seguendo il calendario delle letture, possono condividere l’esperienza di lettura rilasciando commenti e interagendo con gli altri lettori remoti, rivelandosi un utile strumento didattico. A partire dalla prima community italiana, l’app si è diffusa in Europa e in America ed è stata adottata da scuole e università, aggiudicandosi premi e riconoscimenti internazionali, ora anche disponibile in un’applicazione espressamente dedicata alle scuole italiane grazie alla collaborazione con l’editore scolastico Pearson (la Pearson Social Reading with Betwyll), e nella versione Betwyll per singoli lettori e studenti universitari. Il dispositivo si è rivelato particolarmente efficiente nell’avvicinare alla lettura un pubblico di lettori deboli, costruendo community che spostano la lettura da un’esperienza individuale a un’attività sociale, includendo nuovo pubblico oltre a infrastrutturare l’attività didattica. Si tratta di uno slittamento significativo della modalità di fruizione della lettura, dall’individuo a una community, quasi un ritorno alle origini, quando la lettura avveniva solo a voce alta, al racconto nelle pagine di Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, di Sant’Ambrogio e degli intellettuali convenuti a Milano per osservare di persona il fatto eccezionale e spettacolare per l’epoca del patrono di Milano impegnato in una lettura mentale e silenziosa.
Nella galassia dello spettacolo dal vivo sono molteplici le esperienze che affrontano il problema dell’accessibilità unitamente a una ricerca di espansione delle modalità percettive delle performance, percorrendo in modo originale e creativo le nuove possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Il National Theatre di Londra (Gran Bretagna), ad esempio, che vanta una reputazione di lunga data per la fornitura di spettacoli assistiti, ha predisposto per i propri spettacoli teatrali e musicali The Touch Tour: iniziativa che permette alle persone non vedenti o ipovedenti di esplorare i set, i costumi e gli altri elementi scenici attraverso il tatto, prima dello spettacolo. Durante e in preparazione di queste attività, molteplici dispositivi atti a potenziare la percezione, come audioguide e descrizioni dettagliate – disponibili su CD e in formato MP3 inviate in anticipo al pubblico – accompagnano le persone non vedenti sia durante il Touch Tour che durante gli spettacoli. Il tutto è possibile grazie a cuffie e smart glass con traduzione nella lingua dei segni, e collaborando con designer e tecnici per creare set e costumi tattili che offrano un’esperienza sensoriale completa. Vengono, inoltre, offerti “spazi freddi” per coloro che necessitano di pause per contenere un sovraffaticamento da rumori, movimenti e stati emozionali troppo coinvolgenti, dove godere di una pausa per poi rientrare in sala. Gli spettacoli, infine, posso essere fruiti in digitale anche da remoto per completare la gamma delle modalità di partecipazione.
Un approccio analogo guida la ricerca del Teatro Stabile di Torino che usa smart glass per la sotto e sovra-titolazione degli spettacoli, ma anche smartphone, tablet e schermi con i quali fornire indicazioni suppletive e spiegazioni, traduzioni in linguaggio dei segni Lis, oltre a schede semplificate per la descrizione delle trame.
Il festival Oriente Occidente di Trento ha introdotto audiodescrizioni poetiche degli spettacoli di danza, con un racconto in diretta attraverso cuffie di ciò che succede sul palco e utilizza inoltre gli zainetti Subpac che trasformano i suoni in stimolazioni sensoriali attraverso le vibrazioni con l’aiuto del mixer, permettendo ai sordi di percepire i ritmi delle musiche o amplificando per tutti l’immersione nel contesto sonoro, al di là della sola percezione uditiva.
Il Belfast International Art Festival ha una lunga storia di cooperazione con associazioni che si occupano delle diverse abilità e impiega costantemente artisti con disabilità nei suoi spettacoli a partire dai lavori seminali di Claire Cunningham nel 2014, coreografa e artista diversamente abile. Nel 2020, in seguito al lockdown, il festival decide di “traslocare on line” alcune performance, affrontando il gap di competenze nel passaggio tra l’attenzione all’adeguatezza delle sedi fisiche a una dimensione completamente digitale. Prendono vita così diverse esperienze come Madrigals at the Museum, l’esecuzione di Madrigali di Monteverdi all’interno di una mostra dell’artista irlandese Ursula Burke, supportata da diversi device e audiodescrizioni. In altri casi gli spettatori sono invitati interagire a distanza, guidando l’evolversi degli eventi teatrali. Questi esperimenti hanno innescato una modalità di approccio che, da un inizio parziale e frammentario, indicano una precisa direzione di sviluppo per il futuro.
Questa limitata selezione di casi all’interno di un universo molto più vasto di sperimentazioni, mostra come l’attenzione per garantire l’accessibilità di persone lontane dalla fruizione delle opportunità culturali, o per barriere culturali o per fattori di disabilità sensoriale, sia l’innesco per una ricerca di una inclusione a larga scala, che mira a costruire nuovi ambienti abilitanti che incrociano spazi fisici e potenzialità digitali in una nuova dimensione ibrida, fisica e digitale come riassume il neologismo phygital.
L’innovazione più profonda in questo caso sta nel modellare la tecnologia sulla costruzione di nuovi mondi sensoriali, all’incrocio con forme artistiche millenarie, per espandere l’universo percettivo di tutti e di ognuno.
È questa la strada che crea nuovi territori nell’atto stesso del loro attraversamento e che fonda nell’inestricabile rapporto tra persona, tecnologia e ambiente la possibilità di una piena cittadinanza percettiva, sensoriale e cognitiva, al di là di una considerazione puntuale delle barriere.
È una via ancora alle prime pietre miliari, che necessita di continue sperimentazioni: non un’impresa semplice e, di certo, rivaleggia con le grandi opere dell’antichità. Ma non si tratta più di costruire imperi, quanto dell’entrare in nuovi mondi, con i sensi accesi a percepire il ventaglio di implicazioni e di sfide che ci si proporranno nel prossimo futuro.
Fonte. articolo di Luca Dal Pozzolo, Fondazione Fitzcarraldo